domenica 1 novembre 2009

Be Pedestrian!



Courtesy of Aprile on line

La forza degli Early works di Trisha Brown alla Fondazione Maramotti. 8 danze degli anni ’70 ci riportano a quando la danza era riflessione, non solo virtuosismi.

Il perché gli Early works di Trisha Brown arrivino in Italia solo oggi, 40 anni dopo la loro creazione, è un mistero. Ma meglio tardi che mai, e allora tanto di cappe
llo alla Fondazione Maramotti che, insieme a Reggio Emilia Danza e alla Fondazione iTeatri, porta fino a noi questi pezzi di storia che ormai si potevano vedere solo nella biblioteca del Lincoln Center di New York o in qualche soirèe al Centre Georges Pompidou.
Trisha Brown, direttrice artistica dell’omonima compagnia, è una delle esponenti di spicco della post-modern dance americana, che nasce come ribellione alla danza accademica, a Martha Graham, al Classico che impera, alla mancanza di riflessione critica sulla danza stessa. Una ribellione che avviene, a partire dagli anni ’60, contemporaneamente all’arte contemporanea, a quell’arte concettuale di cui Bruce Nauman (ora in Biennale, e pure vincitore del Leone d’Oro) fu una delle principali locomotive. Cos’è il linguaggio dell’arte dopo Duchamp? Cos’è il corpo? Come muoverlo? Ha senso muoverlo? Ed è così che la danza diventa scultura
, traducendo prima in parole e poi in movimenti
quei dettami della scultura minimalista che recitavano così, una volta tradotti da Yvonne Rainer in indicazioni danzerecce: eliminate il fraseggio, i climax, gli accenti; eliminate la performance e i personaggi; eliminate il campo spaziale, il movimento virtuoso e il corpo interamente esteso nello spazio. Sostituiamo tutto ciò con un’energia invariante, movimenti trovati (è il ready made della danza!), ripetizioni o eventi separati nel tempo, neutralità, attività che somiglino a “compiti”, o task, ritroviamo una dimensione umana.
Ciò che rese questo movimento unico, fu la presenza di un’intera comunità di artisti, per cui Trisha Brown non fu la sola. Insieme a lei, appunto, Yvonne Rainer, Debor
ah Hay, Steve Paxton, David Gordon, Meredith Monk, Lucinda Childs e tanti altri si radunarono attorno alla Judson Church, una chiesa sconsacrata, che divenne il simbolo della post-modern dance e che ancora oggi, il lunedì sera, (ogni lunedì sera!), propone le più recenti ricerche sul movimento e sull’arte. Insomma, per quelli del giro, vedersi gli Early Works di Trisha, è un viaggio nel tempo e nello spazio, alle fonti del bello.
Gli Early works in effetti non sono nulla di speciale. Semplici tasks, compiti, istruzioni, regole, dispositivi. Questo era, ed è, il concettuale nella danza. Portare in evidenza la struttura delle cose attraverso il movimento di tutti i giorni. Non curiamoci del loro risultato estetico: una volta che il concetto è emerso, lasciamolo lì a galleggiare, tutto il resto rimarrà inespresso, perché inutile.
Floor of the Forest è un semplice indagare sulla gravità. Due performer si issano su una
struttura dove sono state tese delle corde. Sulle corde sono stati infilati vestiti, magliette e pantaloni. I due dovranno infilarsi i pantaloni, rimanendo sospesi nell’aria, e la maglietta, abbandonandosi completamente. I vestiti ci reggono? I vestiti, nel loro vestirci, mettono a nudo il nostro peso. Ci reggiamo, sospesi, grazie ai nostri vestiti. Di cosa ci vestiamo tutti i giorni?
Le performance del gruppo “stick” (Sticks 2a, Sticks 2b, Sticks 1, Sticks 3), sono di una semplicità imbarazzante. Figure simmetriche, asimmetriche, ribaltate, creano una successione di azioni della durata di qualche minuto. Le azioni vengono scandite dalla voce dei performer i quali, una volta “arrivati”, lo annunciano agli altri, per poi poter procedere oltre. In caso di errore: “hold on”. Aspettate! Tutti fermi in attesa di risistemare la struttura dei bastoncini per poi andare avanti. Il richiamo a una società organizzata
diversamente è evidente: una società in cui la relazione e l’interdipendenza siano elementi cruciali per poter portare avanti un progetto comune.
I due lavori di accumulazione (Accumulation e Group Primary Accumulation), sicuramente più complessi, riproducono un processo cumulativo, prima in a-solo, poi in trio. Un processo ipnotico per lo sguardo e per la mente. Aggiungendo un pezzo per volta si arriva a creare un’intera architettura di movimento.
L’ultima danza, Spanish Dance, vede la partecipazione di Trisha stessa. Un trenino ancheggiante, sulla musica di Bob Dylan, arriva, vagone dopo vagone, performer dopo performer, tramite un movimento contagioso che si trasmette da corpo a corpo, arriva fino alla fondatrice della compagnia, ferma in testa al treno. Il trenino procede così, ma sulla nota finale della musica si schianta su un pilastro, ed è inevitabile per il pubblico scoppiare a ridere. Ma come, Trisha, fai deragliare il tuo stesso treno? O è l’ennesimo gesto di rottura con una tradizione che per troppo tempo ha ingabbiato la danza in una forma?

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